giovedì 29 novembre 2007

Doveva uccidere Berlusconi ma il killer scappa con la ricompensa in francia



Trescore Balneario (Bergamo) - «A mio fratello era stato commissionato l'omicidio di Silvio Berlusconi». Una rivelazione del tutto inedita, senza dubbio sensazionale e sconvolgente. Le parole sono quelle di Emiliano Facchinetti, scultore di Trescore, che porta alla luce del sole questa vicenda, ancora sconosciuta alla cronaca italiana, attraverso le pagine del suo libro Mio fratello più grande. Un racconto che nei prossimi giorni uscirà nelle edicole e nelle librerie di Bergamo e provincia. In poco più di trecento pagine è racchiusa «la vera storia del bandito bergamasco che doveva uccidere Berlusconi», come recita il sottotitolo del volume edito da Leonardo Facco.

FUGA - Secondo il racconto di Emiliano, i fatti risalgono all'estate del 1987, quando Pierluigi Facchinetti, rapinatore evaso da un carcere di massima sicurezza e ricercato dalle forze dell'ordine di mezza Europa, entrò in contatto con un'organizzazione criminale con sede nel sud della Francia. I transalpini commissionarono alla banda Facchinetti il rapimento e l'omicidio di quello che all'epoca era "solo" un imprenditore in ascesa. «Ma loro non erano degli assassini - spiega Emiliano - e così si accordarono per rapirlo e consegnarlo vivo. Dal miliardo inizialmente offerto, però, l'organizzazione scese a settecento milioni di lire». Trecentocinquanta anticipati e altrettanti al momento della consegna. «E loro, che non erano assassini, ma dei furbi rapinatori, scapparono con i soldi. Ma l'organizzazione aveva consegnato i soldi in anticipo solo perché conosceva ogni loro movimento. E così riuscirono a beccarli e a farsi ridare il denaro, costringendoli a fuggire da quelle zone. Ma probabilmente quell'organizzazione aveva agganci molto in alto…».

PROVE - La storia, raccontata ai giorni nostri, è di quelle che lasciano con occhi e bocca spalancati. Ma come la mettiamo con il rischio bufala? Ci sono prove che la confermano? «Prove certe no - continua l'autore -, ma parecchi indizi. Come ad esempio un'agendina sequestrata a uno dei componenti della banda. Ecco, questi sono i verbali della polizia francese». Emiliano mostra un verbale in cui si fa riferimento a un'agenda in cui erano riportati dei codici segreti, che la banda Facchinetti usava per comunicare. Numeri associati a lettere, che compongono proprio il nome di Berlusconi, usato dai gendarmi per decifrare i messaggi. «La storia dell'omicidio mi era stata raccontata da mio fratello e dai suoi compagni (ora tutti morti, ndr). Perché inventarsi tutto? Non avrebbe avuto senso. All'epoca Berlusconi non era famoso come adesso: io non sapevo nemmeno chi fosse, quindi non mi ero interessato molto a quella storia». Già, nel 1987 Berlusconi aveva appena completato il tris Canale 5, Italia 1 e Rete 4, ma era ancora lontano dal suo ingresso in politica e non godeva certo della fama attuale tra la gente comune. Un anno prima, però, aveva fondato La Cinq, canale della tv francese che sparì nel 1992.

ANACRONISMI - Ora colui che era nel mirino di quell'operazione è diventato uno degli uomini più potenti dal punto di vista politico, economico e mediatico in Italia «e infatti - spiega Emiliano - soltanto negli anni seguenti mi sono reso conto dell'entità di quella vicenda». Ma se davvero tutti i settecento milioni fossero entrati nelle tasche della banda Facchinetti come contropartita per la perfetta riuscita dell'operazione? «Questo me lo chiedo spesso anch'io. Perché sicuramente la storia del nostro Paese avrebbe preso una piega diversa». Quindi, in un certo senso, Berlusconi deve ringraziare Gigi e il suo rifiuto di compiere quel gesto? «Be', se è ancora qui è anche grazie a lui. E a quelli là, che evidentemente poi hanno cambiato idea».

Articolo tratto da: www.ilnuovogiornaledibergamo.it

1 commento:

Anonimo ha detto...

i soldi non li avevano ricuperato tutto se non che famiglia di uno dei componenti de la banda ancora oggi hanno e fanno uso.non parlo de la tua emi lo sai bene de chi parlo.